Segreteria del Santuario

Segreteria del Santuario

“Degnati, o Signore, di permettere che celebriamo oggi il giorno stesso della tua nascita, che la presente solennità ci ricorda. Quel giorno è simile a tè; è amico degli uomini. Esso ritorna ogni anno attraverso i tempi; invecchia con i vecchi, e si rinnova con il bambino che è nato. Ogni anno, ci visita e passa; quindi ritorna pieno di attrattive. Sa che la natura umana non potrebbe fare a meno di lui; come te, esso viene in aiuto alla nostra razza in pericolo. Il mondo intero, o Signore, ha sete del giorno della tua nascita; questo giorno beato racchiude in sé i secoli futuri; esso è uno e molteplice. Sia dunque anche quest’anno simile a tè, e porti la pace fra il cielo e la terra."  Efrem il Siro
Mentre oramai siamo sempre più travolti dall’onda lunga ed ossessiva del consumismo che non si arresta di fronte ad alcun luogo, neanche di fronte sacro, il fascino del Natale, tuttavia, resiste intatto con tutta la sua umiltà e il suo silenzio, con i volti semplici dei pastori e del bambino di Betlemme.
“Gesù posto nella mangiatoia è il cibo dei giumenti che siamo noi”, scrive Sant’Agostino, che conclude un suo discorso sull’Incarnazione del Verbo ricordandone il significato profondo: “Voi siete il prezzo dell’incarnazione del Signore”.
Come è noto, fu san Francesco ad avere l’intuizione di ricreare le condizioni che accompagnarono la nascita di Gesù. Il santo di Assisi aveva la convinzione profonda della possibilità di incontrare Dio nella storia degli uomini. Di qui l’origine del presepe, segno di speranza, di pace e di pellegrinaggio verso Gesù Bambino. Ma non fu l’unico, una lunga scia di santi si sono distinti per la loro devozione al mistero dell’incarnazione. Da santa Teresina del Bambin Gesù dove comprende, che la via di Dio è la via dell’amore, la via che induce Gesù a scendere verso gli uomini. a Santa Teresa Benedetta della Croce:«Mettiamo le nostre mani nelle mani del Bambino divino, pronunciamo il nostro sì in risposta al suo  "seguimi", e allora saremo una cosa sua e la sua vita divina potrà traboccare liberamente in noi. Ecco l’inizio della vita eterna in noi».
Un’attenzione particolare verso il Santo Natale lo ebbe anche san Gaetano di Thiene (1480-1547), fondatore dell’Ordine dei Chierici regolari teatini. Nella Santa Notte del 25 dicembre 1516 celebrò la sua prima Messa nella basilica di Santa Maria Maggiore in Roma. Durante la celebrazione della Messa, gli apparve la Beata Vergine, che gli pose fra le braccia il Bambino Gesù. Egli si trovava precisamente nella cappella del Presepio, quando ad un certo punto, rapito da acceso amore e trasporto per la Madre di Dio e il Figlio, si protese con le braccia verso le loro immagini: fu allora che Maria Santissima posò sulle sue braccia tese il Bambino Gesù. In un libro del Settecento è presentato come colui che diede origine alla tradizione di allestire il presepe nella Chiesa e nella case private. Il ricordo di San Gaetano nello sviluppo della devozione presepiale a Napoli detiene un posto privilegiato.
Ma come non posare la nostra attenzione su sant’Alfonso de’ Liguori. Sui monti sopra il golfo di Amalfi egli vide la miseria dei pastori e dei contadini non raggiunti da alcuna istruzione religiosa. Compose allora Tu scendi dalle stelle, un canto natalizio presto divenuto caro alla devozione popolare. Nel libro Novena del Santo Natale con le meditazioni per tutti i giorni dell’Avvento sino all’ottava della Epifania, scrisse: «Molti cristiani sogliono per lungo tempo avanti preparare nelle loro case il presepe per rappresentare la nascita di Gesù Cristo; ma pochi sono quelli che pensano a preparare i loro cuori, affinché, possa nascere in essi e riposarsi in Gesù Cristo. Tra questi pochi però vogliamo essere ancora noi, acciocché siamo fatti degni di restare accesi di questo felice fuoco, che rende le anime contente in questa terra e beate in cielo».
Sant’Alfonso propose una serie di meditazioni di profonda spiritualità, che continuano ad intendere nel modo più vero che cosa sia il Natale e come debba essere vissuto in spirito soprannaturale.
Non è il Natale di Bauli, delle vetrine, delle luci, del cenone; è il Natale di Nostro Signore che incarnandosi da ricco che era si fece povero per la nostra salvezza. Quel Bambino che venne al mondo è la nostra speranza, la luce che illumina i nostri passi.
Se dunque vogliamo festeggiare davvero il Natale riscopriamo attraverso i nostri santi la sorpresa e lo stupore della piccolezza di Dio, che si fa piccolo, povero, Egli non nasce nei fasti dell’apparenza, ma nella povertà di una stalla. “Per incontrarlo bisogna raggiungerlo lì, dove Egli sta; occorre abbassarsi, farsi piccoli, lasciare ogni vanità, dove Lui è. E la preghiera è la via migliore per dire grazie di fronte a questo dono d’amore gratuito, dire grazie a Gesù che desidera entrare nelle nostre case, che desidera entrare nei nostri cuori.” (papa Francesco)
Sant’Ignazio di Antiochia ci porge un’ aiuto ulteriore nell’entrare nel vero senso del Natale: «Chiudete le orecchie quando qualcuno vi parla d’altro che di Gesù Cristo, della stirpe di David, figlio di Maria, che realmente nacque, mangiava e beveva, che fu veramente perseguitato sotto Ponzio Pilato, che fu veramente crocifisso e morì al cospetto del cielo, della terra e degli inferi, e che poi realmente è risorto dai morti. Lo stesso Padre suo lo fece risorgere dai morti e farà risorgere nella stessa maniera in Gesù Cristo anche noi, che, crediamo in lui, al di fuori del quale non possiamo avere la vera vita».
Il mistico Angelo Silesio ci interpella oggi più che mai, in una società in cui sembra perfino che quanto celebriamo a Natale abbia ben poco a che fare con il mistero dell’Incarnazione: “Nascesse pure Gesù mille volte a Betlemme, a nulla mi vale se non nasce in me!”.
Buon Natale e che questo Natale sia il Natale in cui Cristo nasca veramente nel nostro cuore. Solo così l’umanità potrà vivere in quella pace tanto sospirata!

1. Perché il Figlio eterno si è fatto carne?

Nel prologo del Vangelo di Giovanni troviamo una meditazione teologica sull’incarnazione del Verbo eterno. Al v. 14 leggiamo: «Il Verbo si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi». Nel linguaggio biblico il termine carne indica tutto l’uomo nel suo aspetto terreno, in quanto storico, debole e mortale. In questo senso Giovanni afferma con forza la reale umanità assunta da Cristo con l’incarnazione. In questo modo il Verbo eterno, assumendo la carne umana, fa esperienza della fragilità della nostra esistenza di creature: fame, sete, fatiche, dolori…
Subito si impone una domanda: perché il Verbo si è fatto carne? Qui ci viene in aiuto lo stupendo e illuminante inno di san Paolo che leggiamo nella lettera agli Efesini:
«Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d'amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato» (Ef 1,3-6).
La benedizione divina sta già nel fatto che, da tutta l'eternità, Dio ci ha scelti, ciascuno personalmente!
Questa affermazione è estremamente importante. Si tratta di comprendere – né più né meno – perché noi uomini ci troviamo su questa Terra.  Noi esistiamo, fin dall’eternità nella mente di Dio, in un grande progetto che Dio ha custodito in se stesso e che ha deciso di attuare e di rivelare «nella pienezza dei tempi» (cfr Ef 1,10). Le nostre vite qui non sono frutto del caso, ma rispondono ad un disegno di benevolenza eterna di Dio. In Dio noi siamo voluti e pensati, con la nostra irripetibile identità, già da sempre: Egli ci contempla dall’inizio dei tempi.
Questa vertiginosa prospettiva sulla nostra esistenza umana subito fa sorgere una domanda: «Qual è lo scopo ultimo di questo disegno misterioso?». Ci ha scelti – continua San Paolo - per essere figli adottivi in Cristo. Tutti abbiamo la vocazione alla filiazione adottiva; da tutta l'eternità Dio ci ha pensato e ci ha creato per essere figli suoi. La nostra creaturalità è elevata alla vita divina, all’essere realmente figli nel Figlio!
Noi siamo quindi figli di Dio in tutta verità, perché abbiamo già ricevuto nel sacramento del Battesimo lo stesso «Spirito del Figlio», lo Spirito Santo che da sempre il Figlio possiede e costituisce il suo rapporto unico con il Padre. Noi siamo per grazia ciò che il Figlio è per natura!
Continuando la lettura della Lettera agli Efesini, al v. 10 troviamo un’altra affermazione molto importante: il disegno salvifico di Dio, «il mistero della sua volontà» (Ef 1,9), è espresso con un termine caratteristico: «ricapitolare in Cristo tutte le cose, celesti e terrestri» (cfr Ef 1,10). Ciò significa che nel grande disegno della creazione e della storia Cristo si leva come centro dell’intero cammino del mondo, asse portante di tutto, che attira a Sé l’intera realtà, per condurre tutto alla pienezza voluta da Dio. Quest’opera di ricapitolazione di Cristo che si attua nella storia troverà compimento nella pienezza escatologica, quando «Dio sarà tutto in tutti» (1Cor 15,28).
In teologia ci sono state due posizioni riguardanti la finalità o motivo dell’incarnazione: quella redentiva secondo la quale l’incarnazione è un “rimedio del peccato”, e quella perfettiva, come abbiamo letto nella lettera agli Efesini, secondo la quale Cristo ha in se stesso, indipendentemente dalla caduta iniziale, il compito di condurre dinamicamente al suo compimento la storia dell’uomo e del cosmo.
Capiamo che non si dà opposizione tra finalità redentiva e perfettiva dell’incarnazione, dal momento che l’evento creazione e incarnazione sono integrate nell’unico piano di salvezza dell’umanità e del cosmo in Cristo. Ne consegue che il Figlio di Dio è diventato uomo non soltanto a causa dei peccati commessi dall’uomo, ma soprattutto per portare a compimento la creazione.

Contempliamo l’incarnazione e la natività nel vangelo di Luca
Da questo alta visione teologica e spirituale sulla finalità dell’incarnazione di Cristo passiamo ora a contemplare l’incarnazione e la natività come ci viene presentata nella stupenda pagina del Vangelo di Luca, cap 2, vv. 1-7. Leggiamo il testo.
«In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio».
In questi versetti iniziali Luca si premura di collocare Gesù all’interno di un quadro storico ben concreto. Gesù, dunque, non è nato nell'imprecisato “una volta” del mito. Egli appartiene ad un tempo esattamente databile e ad un ambiente geografico esattamente indicato. «La fede è legata a questa realtà concreta, anche se poi, in virtù della Risurrezione, lo spazio temporale e geografico viene superato e il 'precedere in Galilea' (cfr. Mt 28,7) da parte del Signore introduce nella vastità aperta dell'intera umanità (cfr. Mt 28,16ss)»1.
In Luca, inoltre, questo riferimento storico ha anche una valenza teologica. Infatti si legge: «... Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra» (v. 1). Cesare è posto nel ruolo di destinatore universale; egli intende censire la totalità («tutta la terra») del mondo abitato (oikumenen). Tutto il potere è incentrato su di lui, ignorando che quel che è al di fuori della sua presa. Di fronte a questa volontà di dominio “universale” da parte di Cesare Augusto, nella storia, un universale portatore di salvezza (Gesù) può entrare nel mondo.
Si noti che la presentazione che Luca fa di Cesare Augusto non è affatto una manomissione storica in vista del significato teologico. Infatti l'epigrafe di Pirene risalente all'anno 9 a.C. ci fa capire come Augusto voleva essere visto e compreso: il mondo intero sarebbe andato in rovina senza di lui; “La provvidenza – si legge in tale stele – che divinamente dispone la nostra vita ha colmato quest'uomo, per la salvezza degli uomini, di tali doni da mandarlo a noi e alle generazioni future come salvatore (sōtér)”2. Dunque Augusto si ritiene un salvatore dell'umanità; egli avrebbe suscitato una svolta nel mondo, avrebbe introdotto un nuovo tempo. Allora è chiaro che Luca ci pone di fronte ad un confronto: chi è il vero salvatore? Cesare Augusto o il bambino che nasce a Betlemme?
C'è poi un particolare molto significativo: «il 'salvatore' ha portato al mondo soprattutto la pace. Egli stesso ha fatto rappresentare questa sua missione di portatore di pace in forma monumentale e per tutti i tempi nell'Ara Pacis Augusti... »3. In effetti Cesare Augusto col suo dominio ha pacificato l'impero che ha conosciuto sicurezza giuridica e benessere per circa duecentocinquanta anni. Ma si tratta della pax romana basata sì su accordi politici, ma soprattutto sulle armi. Ben diversa è la pace che Gesù è venuto a portare e che come Risorto donerà ai suoi (cfr. Lc 24,36). È una pace fondata sulla vittoria del peccato. Interessa l'uomo nella profondità del suo essere. La storia dell'umanità è una storia di violenza a causa del peccato. Basti leggere le prime pagine della Genesi per constatare che dal primo peccato c'è stato un proliferare del male a tal punto che tutta la terra «era piena di violenza» (Gen 6,13); il racconto eziologico del diluvio esprime come l'uomo nella storia distrugge se stesso a causa della violenza. Tutta la storia d'Israele sarà intrisa dalla violenza. E Dio, che viene a stringere un'alleanza con il suo popolo e le rimane fedele nonostante il peccato, è disposto ad accogliere anche le immagini che l'uomo violento ha proiettato in lui: quella di un Dio violento, che castiga e punisce duramente – anche utilizzando come strumento la guerra - Israele infedele per richiamarlo alla fedeltà all'alleanza. Oltre a portare la vera pace sulla terra – quella che proclamano gli angeli al v. 14 – Gesù ci rivela anche il vero volto di Dio.
«Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nàzaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme» (vv. 3). Il viaggio che Giuseppe, qui presentato con il ruolo di figlio di Davide, e quindi portatore della promessa messianica, “sale” in Giudea, per raggiungere la “sua” città (cfr. v. 3)4. È quindi un viaggio in “salita”: da Nazareth (luogo basso), punto di partenza, egli sale in direzione di Gerusalemme (luogo alto per la sua altezza e per la sua importanza di capitale e di unico luogo di culto). Si tratta della seconda delle quattro salite che punteggiano i primi due capitoli di Luca: la visitazione (nelle colline di Giuda), la salita di Giuseppe con Maria incinta, le due salite a Gerusalemme (quella circoncisione al Tempio e, 33 giorni dopo, la presentazione di Gesù) che chiuderanno il vangelo dell'infanzia (cfr. 2,21-52). Il viaggio di Giuseppe - che porta con sé Maria incinta – anticipa il viaggio che Gesù stesso da adulto farà e che il vangelo di Luca ci presenta. Una “salita”, dunque, non solo topografica, ma anche teologica. Una salita che si concluderà con la passione e morte di Gesù.
Giuseppe sale per raggiungere “la sua città”. L'espressione “città di Davide” è strana, perché la locuzione, usata una cinquantina di volte nella Sacra Scrittura, indica Gerusalemme, la capitale. Luca elimina subito l'ambiguità precisando: “chiamata Betlemme”. Evidentemente mediante l'uso di tale locuzione l'evangelista ci dà un messaggio teologico: Gesù è collegato alle umili origini di Davide a Betlemme piuttosto che alla gloria regale di Gerusalemme; la povertà nella quale nasce è segno di una regalità che assume i tratti della povertà – quella assunta per amore dell'umanità5 -, e del servizio (quello di essere pastore – come lo aveva fatto il giovane Davide prima dell’elevazione alla regalità - che dà la vita per le pecore), a differenza dei re di questo mondo (e di Davide stesso).
Con questa salita a Betlemme si avvera la profezia di Michea: «E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele» (Mi 5,1). È vero che Luca non cita espressamente tale profeta, ma l'abbondanza di termini e temi comuni esprime un chiaro riferimento dell'evangelista ad essa.
Giuseppe, dunque, sale «con Maria sua sposa che era incinta» (v. 5). Giuseppe è congiunto a Maria, congiunto al Messia in gestazione. Il censimento riguarderà dunque due persone e ben presto tre, cioè anche il bambino Gesù che nascerà a Betlemme. Vediamo così compiersi il programma, che era stato posto nell'annuncio dell'angelo a Maria: «Il Signore gli darà il trono di Davide, suo padre» (1,32). Questo oracolo era un'eco della profezia messianica di Natan (2Sam 7,12-17). L'ironia del racconto sta nel fatto che il censimento, cui Gesù si sottomette passivamente (“per essere censito”: 2,5), manifesta la sua qualifica regale e sovrana di Messia. Dio si serve del potere cieco di Augusto (grande manipolatore delle popolazioni) per autenticare il Re-Messia. Luca non aveva fino ad ora manifestato in che modo Gesù, che era figlio di Giuseppe (in senso “legale”, come invece ben ci dice Matteo in 1,18-25), poteva ben meritare il titolo di figlio di Davide. Ma ora la cosa è chiara6. Egli sarà il re davidico «il cui regno non avrà fine» (Lc 1,33).
Gesù nasce e viene posto in una mangiatoia perché «non c’era posto per loro nel katàlyma» (v.7). Che cosa è questo katàlyma? Anzitutto è da escludere l'albergo: infatti per parlare d'un albergo o locanda dove si paga Luca adopera il termine pandokeion (cfr. Lc 10,34). Cos'è allora? Si tratta della sala ospitale di soggiorno, la “camera alta”, quella che sarà prestata anche per l'ultima cena (anche Lc 22,11 è un katalyma). Probabilmente la casa (in Mt 2,11 dove si dice espressamente che i magi entrano nella «casa») è quella dei parenti che ospitava Giuseppe e Maria7; forse era ormai sovraffollata, e comunque la stanza di soggiorno non era certo il luogo opportuno per una partoriente; così ai due giovani sposi venne offerto un luogo separato e discreto, attiguo alla casa che li ospitava, senz’altro povero. Si trattava, probabilmente, del piccolo vano che faceva da ripostiglio e da piccola stalla per l’asino8. Ciò spiegherebbe la presenza della mangiatoia.
C'è da chiedersi: di chi è quella casa? L'evangelista non lo dice. Coi suggerisce che dev’essere la casa del mio cuore. C'è posto in essa per Gesù?
Si noti che, sebbene non c'è stato un rifiuto esplicito da parte dei parenti di Giuseppe, questa nascita in questo luogo umile viene letta come una prefigurazione del futuro di Gesù. «La meditazione, nella fede, di tali parole ha trovato in questa affermazione un parallelismo interiore con la parola, ricca di contenuto profondo, del Prologo di Giovanni: “Venne fra i suoi, e i suoi non l'hanno accolto” (Gv 1,11). Per il Salvatore del mondo, per Colui, in vista del quale tutte le cose sono state create (cfr. Col 1,16), non c'è posto. “Le volpi hanno le loro tane egli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo” (Mt 8,20). Colui che è stato crocifisso fuori della porta della città (cfr. Eb 13,12) è anche nato fuori della porta della città.
Questo deve farci pensare, deve rimandarci al rovesciamento di valori che vi è nella figura di Gesù Cristo, nel suo messaggio. Fin dalla nascita Egli non appartiene a quell'ambiente che, secondo il mondo, è importante e potente. Ma proprio quest'uomo irrilevante e senza potere si svela come il veramente Potente, come Colui dal quale, alla fine, dipende tutto»
Si noti anche che Gesù viene posto in una mangiatoia. Ciò che viene posto in essa è per essere mangiato. Gesù si darà come pane di vita per la salvezza degli uomini. Il peccato era cominciato con il mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male con la brama di diventare come Dio; la cura di questo mangiare sarà proprio l'eucarestia. La croce – l'albero della vita – permette di mangiare il frutto della vita. L'eucaristia è l'antidoto, il farmaco dell'immortalità. I discepoli ora possono mangiare, senza bramosia, ricevendo tutto come dono il frutto dell'albero della vita, con rendimento di grazie.
Non per nulla Gesù nasce a Betlemme, che significa “casa del pane”. Nasce là dove c'è la casa del pane. È lui il Pane da mangiare che si dona.
Si noti, infine, ad una lettura attenta, lo stretto parallelismo tra la nascita di Gesù e la sua morte. A Gesù morto viene prestata una tomba, come alla nascita viene offerto a Gesù un luogo provvisorio. Con l’oscurità Gesù viene deposto nel sepolcro e nell’oscurità (cfr. il v. 8) Gesù nasce. Gesù viene ‘avvolto’ e ‘deposto’ nel sepolcro (Lc 23,53) e alla nascita Gesù viene ‘avvolto’ e ‘deposto’ nella mangiatoia10. Il Signore, dunque, nasce per morire: nelle pieghe del racconto della nascita il credente già legge la morte in croce del Messia. Se, dunque, Gesù muore per amore nostro (cfr. Rm 5,8: «Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi»), per amore nostro il Verbo di Dio si è incarnato11. Ma, allo stesso tempo, il credente vede anche la Risurrezione: Maria «partorì il suo figlio primogenito» (v. 7): egli viene chiamato “primogenito” (e non “unigenito”, né tanto meno bléfos, cioè “infante” o “bambino”, come invece si legge in 2,12.16) perché egli è il primo di una moltitudine di figli12. Per la sua obbedienza al Padre, infatti, per mezzo del Battesimo siamo morti e risorti con Lui, siamo diventati figli nel Figlio.
Nella lettera ai Colossesi questo pensiero viene ancora allargato: Cristo viene chiamato il «primogenito di tutta la creazione» (1,15) e il «primogenito di quelli che risorgono dai morti» (1,18). «Tutte le cose sono state create per mezzo di lui» (1,16). «Egli è principio» (1,18). Il concetto della primogenitura acquisisce una dimensione cosmica: egli è principio e termine della nuova creazione, che ha preso inizio con la Risurrezione.
Infine la mangiatoia rimanda – come abbiamo detto – agli animali, per i quali essa è il luogo del nutrimento. Nel Vangelo non si parla qui di animali. Ma la meditazione guidata dalla fede, leggendo l'Antico e il Nuovo Testamento ha ben presto colmato questa lacuna rinviando a Is 1,3: «Il bue conosce il suo proprietario e l'asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende». Questi due animali posti nel presepe rappresentano l'umanità che, davanti al Bambino, davanti all'umile comparsa di Dio nella stalla, arriva alla conoscenza e, nella povertà di tale nascita, riceve l'epifania che ora a tutti insegna a vedere13.

Con l’augurio che ciascuno di noi possa essere illuminato da questa luce divina, auguro a tutti un Santo Natale!

Padre Michele, omv  - Rettore del Santuario - 

 
 
 
16 Dicembre 2023

Tempo di Natale

Il Tempo di Natale è il periodo dell’Anno Liturgico che inizia con il giorno di Natale, il 25 dicembre, e che dura fino alla domenica del Battesimo del Signore, la prima domenica dopo l’Epifania. Ha dunque una durata di due o tre settimane.
Al suo interno si celebrano varie feste e solennità: la festa della Sacra Famiglia che ricorre la prima domenica dopo il Natale; la solennità di Maria Santissima Madre di Dio, il 1°gennaio; la solennità dell’Epifania, il 6 gennaio; la Festa del Battesimo del Signore, che chiude il ciclo natalizio. Le letture di natale relative a questo periodo comprendono i racconti dell’infanzia di Cristo dai Vangeli e la lettura continua della Prima lettera di Giovanni.

 

NOVENA DI NATALE 16 - 24 DICEMBRE 2023
Ore 8,30 -10,00 - Nella celebrazione Eucaristica
Sante Messe ore 8,30 - 10,00 - 17,00 - Rosario ore 16,30

24 DICEMBRE IV DOMENICA DI AVVENTO
Sante Messe  Ore 9,00 - 10,30 - 12,00 
Ore 16,30  - Santa Messa della Vigilia di Natale
Ore  23,30 - Santa Messa della Notte

25 DICEMBRE NATALE DEL SIGNORE
Sante Messe ore 9,00 - 10,00 - 12,00 - 16,30 - 18,00 - Rosario ore 16,00

26 DICEMBRE SANTO STEFANO MARTIRE
Ore 9,00 - 10,30 - 12,00 - 17,00 - Rosario ore 16,30

Siamo alle battute finali della tragedia. Mentre l’esercito di Israele combatte contro i Filistei, a Saul appaiono i fantasmi del profeta Samuele e del sacerdote Achimelech, che gli predicono l’imminenza della fine. Il re tenta invano di placarli, finché il generale Abner gli annuncia la sconfitta dei suoi soldati e la morte dei suoi figli maschi. È a questo punto che Saul riacquista per un attimo la lucidità perduta: affidata la figlia Micol ad Abner, affinché la ricongiunga al marito David, rifiuta di fuggire e si dà eroicamente la morte.

SABATO 16 DICEMBRE ORE 16,00 SALA DEL ROSARIO.
L'ESILIO DI DAVIDE E LA MORTE DI SAUL - RELATORE PADRE MICHELE BABUIN OMV
https://www.youtube.com/channel/UCzGZlWm8IITlevGMDX6-44w

12 Dicembre 2023

Tempo di Natale

La grazia tipica delle solennità e di tutto il  tempo natalizio è l’unione della nostra vita con la vita divina di Colui che ha voluto assumere la nostra natura umana.

La colletta della Messa del giorno di Natale afferma chiaramente il contenuto della grazia del Natale del Signore:
“O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fà che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana”.

 

NOVENA DI NATALE 16 - 24 DICEMBRE 2023

ORE 8,30 -10,00 NELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA

24 DICEMBRE IV DOMENICA DI AVVENTO

SANTE MESSE ORE 9,00 - 10,30 - 12,00

16,30 SANTA MESSA DELLA VIGILIA DI NATALE

ORE 23,30 SANTA MESSA DELLA NOTTE

25 DICEMBRE NATALE DEL SIGNORE

SANTE MESSE ORE 9,00 - 10,00 - 12,00 - 16,30 - 18,00 - ROSARIO ORE 16,00

26 DICEMBRE SANTO STEFANO MARTIRE

OREN 9,00 - 10,30 - 12,00 - 17,00 - ROSARIO ORE 16,30

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Il tema dell’Immacolata è centrale per l’Avvento che prepara a rivivere il «mistero della Redenzione» in avvenimenti dove la grazia fa irruzione in modo sovrabbondante. L’Incarnazione del Verbo, l’esultanza del Precursore nel seno materno, il Magnificat, il «Gloria!» degli angeli, la gioia dei pastori, la luce dei magi, la consolazione di Simeone e Anna, la teofania al Giordano anticipano i segni dei tempi nuovi.
La liturgia rende presente in mezzo alla nostra assemblea la potenza che ha preservato la Vergine dal peccato: celebra infatti nell’Eucaristia lo stesso mistero della redenzione, di cui Maria per prima ha goduto i benefici e al quale noi partecipiamo, secondo la nostra debolezza e le nostre forze.

In Inghilterra e in Normandia già nel secolo XI si celebrava una festa della concezione di Maria; si commemorava l’avvenimento in se stesso, soffermandosi soprattutto sulle sue condizioni miracolose (sterilità di Anna, ecc.). Oltre questo aspetto aneddotico, sant’Anselmo mise in luce la vera grandezza del mistero che si attua nella concezione di Maria: la sua preservazione dal peccato.
Nel 1439 il concilio di Basilea considerò questo mistero come una verità di fede, e Pio IX ne proclamò il dogma nel 1854.
Dio ha voluto Maria per la salvezza dell’umanità, perché ha voluto che il Salvatore fosse «figlio dell’uomo»; per questo viene applicata a Maria, con pienezza di significato, la parola di Dio contro il tentatore: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa» (Gn 3,15). E Maria viene riconosciuta come la «nuova Eva, madre di tutti i viventi» (prima lettura). Così Maria appare accanto a Cristo, il nuovo Adamo, e perciò ci si presenta come colei che aiuta a riscoprire e a rispettare il posto della donna nella salvezza dell’umanità. Richiama ed esalta il posto e il compito della vergine, della sposa, della madre, della vedova, nella società, nella Chiesa e nel mondo; rivendica la dignità della donna contro ciò che la attenta. (Maranatha)

Sante Messe ore 9.00 - 10.00 - 12.00 - 16.30 - 18.00
Rosario ore 16.00

 

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Nella sua terza apparizione a Fatima, il 13 luglio del 1917, la Madonna annunciò che avrebbe chiesto la comunione riparatrice nei primi sabati, e anni dopo, il 10 dicembre 1925, quando suor Lucia era già nella Casa delle Dorotee a Pontevedra, in Spagna, Lei le apparve di nuovo. Al suo fianco si vedeva il Bambino Gesù su una nuvola luminosa, e la Vergine Maria le disse:

“Guarda, figlia mia, il mio Cuore circondato dalle spine che gli uomini ingrati, in ogni momento, Mi infliggono con bestemmie e ingratitudini. Tu, per lo meno, vedi di consolarMi, e di’ a tutti;

- di confessarsi

- ricevere la Sacra Comunione,

- pregare un rosario e

- far Mi quindici minuti di compagnia meditando sui quindici misteri del Rosario(1) al fine di darMi sollievo ogni primo sabato del mese, per cinque mesi consecutivi Io prometto di assistere chi adempirà a queste richieste nell’ora della morte, con tutte le grazie necessarie per la salvezza delle loro anime”.

Ore 10,00 Santa Messa 

Ore 10,30 Adorazione Eucaristica 

Ore 11.00 Rosario meditato in varie lingue 

29 Novembre 2023

Novena dell'Immacolata

l dogma dell’Immacolata Concezione fu proclamato da Pio IX nel 1854 con la bolla "Ineffabilis Deus" che sancisce come la Vergine Maria sia stata preservata immune dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento. Nella devozione cattolica l'Immacolata è collegata con le apparizioni di Lourdes (1858) dove Maria apparve a Bernardette presentandosi come «l’Immacolata Concezione".

Vergine Santa e Immacolata,
a Te, che sei l’onore del nostro popolo
e la custode premurosa della nostra città,
ci rivolgiamo con confidenza e amore.
Tu sei la Tutta Bella, o Maria!
Il peccato non è in Te.
Suscita in tutti noi un rinnovato desiderio di santità:
nella nostra parola rifulga lo splendore della verità,
nelle nostre opere risuoni il canto della carità,
nel nostro corpo e nel nostro cuore abitino purezza e castità,
nella nostra vita si renda presente tutta la bellezza del Vangelo.
Tu sei la Tutta Bella, o Maria!
La Parola di Dio in Te si è fatta carne.
Aiutaci a rimanere in ascolto attento della voce del Signore:
il grido dei poveri non ci lasci mai indifferenti,
la sofferenza dei malati e di chi è nel bisogno non ci trovi distratti,
la solitudine degli anziani e la fragilità dei bambini ci commuovano,
ogni vita umana sia da tutti noi sempre amata e venerata.
Tu sei la Tutta Bella, o Maria!
In Te è la gioia piena della vita beata con Dio.
Fa’ che non smarriamo il significato del nostro cammino terreno:
la luce gentile della fede illumini i nostri giorni,
la forza consolante della speranza orienti i nostri passi,
il calore contagioso dell’amore animi il nostro cuore,
gli occhi di noi tutti rimangano ben fissi là, in Dio, dove è la vera gioia.
Tu sei la Tutta Bella, o Maria!
Ascolta la nostra preghiera,
esaudisci la nostra supplica:
sia in noi la bellezza dell’amore misericordioso di Dio in Gesù,
sia questa divina bellezza a salvare noi,
la nostra città,
il mondo intero.
Amen.
(Papa Francesco)

 

Dal 29 Novembre al 7 Dicembre Novena dell'Immacolata cantata ore 8,30 - 10,00

Sante Messe 8,30 - 10,00 - 17,00 - rosario ore 16,30

Il Rettore scrive. Lettera ai fedeli per l’Avvento!

 

Carissimi fratelli e sorelle nel Signore!

 

In questo periodo di Avvento ci prepariamo ancora una volta ad accogliere il Signore Gesù che viene nel mistero del Natale. Vogliamo prepararci ad accoglierlo con il giusto atteggiamento del cuore, con quello dei pastori che vanno alla grotta, che è l’atteggiamento dei poveri.Chi sa riconoscere la propria povertà, a differenza del superbo e dell’arrogante che vanta la propria presunta ricchezza, sa accogliere Gesù come la vera ricchezza con gioia e gratitudine.

Accogliamolo con un cuore umile. Umiltà e povertà vanno sempre insieme. L’umile è colui che è consapevole delle proprie povertà e debolezze. A volte ci lamentiamo di esse. Ma, paradossalmente esse non sono un ostacolo, ma una opportunità per il nostro cammino spirituale. L’esperienza della nostra radicale debolezza, infatti, ci costringe a riconoscere i nostri limiti, la nostra incapacità di controllare la nostra vita, a non contare su noi stessi ma solo su Dio, a rimetterci ciecamente alla sua misericordia, lui che si è fatto Bambino, piccolo, perché lo possiamo accogliere nel suo mistero di amore e lasciarci da Lui salvare. Sì, perché la vita spirituale non è segnata da una progressione di conquiste, quando dal lasciare che Lui conquisti il nostro cuore; non è vantare dei meriti, ma accogliere la sua grazia che ci corrobora e ci salva. La salvezza è dono.

Accostandoci al presepe, che mi auguro tutti voi avrete preparato in casa, possiamo contemplare questo grande mistero. Gesù nasce e viene posto in una mangiatoia perché “non c’era posto per loro nella casa”. C’è posto per lui nel mio cuore?

Viene posto in una mangiatoia. Ciò che viene posto in essa è per essere mangiato. Gesù si darà come pane di vita per la salvezza degli uomini. Il peccato era cominciato con il mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male con la brama di diventare come Dio; la cura di questo mangiare sarà proprio l'eucarestia. La croce – l'albero della vita – permette di mangiare il frutto della vita. L'eucaristia è l'antidoto, il farmaco dell'immortalità. Noi possiamo mangiare, senza bramosia, ricevendo tutto come dono il frutto dell'albero della vita, con rendimento di grazie.

Non per nulla Gesù nasce a Betlemme, che significa “casa del pane”. Nasce là dove c'è la casa del pane. È lui il Pane da mangiare che si dona.

Contempliamo Gesù bambino, “avvolto” di fasce, che è stato posto nella mangiatoia. È una prefigurazione del mistero pasquale. Infatti dopo averci amato fino alla morte e alla morte in croce verrà avvolto con le bende per la sepoltura e deposto nel sepolcro. «Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi»(Lettera ai Romani 5,8). Se, dunque, Gesù ha dato la vita per amore nostro, per amore nostro il Verbo di Dio si è incarnato.

Ed infine contempliamo la fragilità e la debolezza di quel bambino che ha bisogno delle cure materne che Maria, assieme a Giuseppe suo sposo, prestò a Gesù. Gesù con l’incarnazione ci ha raggiunti nella nostra debolezza di creature. Alle volte ci lamentiamo delle nostre povertà, dei nostri limiti, dei nostri fallimenti. Ci sembrano degli ostacoli al nostro desiderio di vita in pienezza. Ma, paradossalmente, possono diventare un’occasione di grazia. Anzitutto perché, consapevoli delle nostre debolezze ci conducono a non giudicare più nessuno, a trattare il prossimo con dolcezza, umiltà, comprensione. Ed inoltre intensificano la nostra relazione con Dio: vedendoci così poveri, siamo obbligati a invocarlo con fiducia. Ci spingono a volgerci interamente verso di Lui, che con un cuore paterno e materno insieme, con infinita tenerezza, ci avvolge con la sua grazia, ci dona ogni bene spirituale di cui abbiamo bisogno. Allora faremo esperienza di quello che ci dice Santa Teresa di Lisieux: «si prova una grande pace a essere assolutamente povera, a non contare che sul buon Dio».

È la sapienza dei poveri impersonata da quei pastori che sanno lasciare tutto, che sanno lasciare lì il proprio gregge – che rappresentava la loro ricchezza – e si sono incamminati senza indugio per accogliere la vera ricchezza: “un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”, come annunciato dagli angeli. Sono i primi testimoni del mistero dell’amore divino, del grande evento del natale.

Accogliamo Gesù con l’atteggiamento interiore di Maria. Più siamo vicini a Maria, più impariamo ad amare la nostra piccolezza, a non portarla come un peso, ma ad accoglierla come una grazia. La tenerezza materna di Maria, la sua mitezza, la sua pace, la sua umiltà, il suo sorriso ci incoraggiano in un modo meraviglioso in questo cammino di umiltà e di amore da lei stessa percorso. Ci guida ad accogliere con questa disposizione profonda il Signore nel nostro cuore.

Con l’augurio che anche noi possiamo fare esperienza di quanto il Signore ci ama personalmente e chiede solo di essere accolto con cuore umile e povero per riempirci di ogni grazia, auguro a tutti voi un Avvento fruttuoso e un Santo Natale.

Padre Michele Babuin omv rettore del Santuario

 

avvento

Sono i piccoli gesti gentili che scaldano il cuore e ti fanno credere che nel mondo ci sia tanta bontà, più di quella che vediamo.

Mercatino Natalizio di beneficenza per le missioni dei padri omv e delle suore omvf.

8-9-10 Dicembre 2023

 

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