Cosa direbbe il Ven. Pio Bruno Lanteri ai giovani d'oggi?

Negli scritti e nella vita del ven. Lanteri non troviamo discorsi particolari rivolti ai giovani.  Sappiamo che da sacerdote ha avuto un’attenzione particolare per gli studenti universitari.

Credo, tuttavia, che con la sua vita dica qualcosa anche ai giovani di oggi, per incoraggiarli a non venire meno nell’avere ideali grandi e nella capacità di reagire.

Il 29 agosto 2013, salutando i giovani papa Francesco ha detto: «Quando un giovane mi dice: “Che brutti tempi, questi, Padre, non si può fare niente!”, lo mando dallo psichiatra … Perché non si capisce un ragazzo che non voglia fare una cosa grande, scommettere su ideali grandi».

La volontà di Dio è da scoprire, non da creare, e può essere trovata. Dio stesso verrà in aiuto per tale ricerca, in ogni situazione, «perché Tu non abbandoni chi Ti cerca, Signore» (Sal 9,11). «Signore, insegnami a compiere il tuo volere, perché sei tu il mio Dio. Il tuo spirito buono mi guidi in terra piana» (Sal 142,10).

Voglio liberamente fare parte di quella generazione che cerca il Suo volto? (Sal 23,6). «I leoni sono miseri e affamati, ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene» (Sal 33,11).

Questo è possibile per chi sa che è Dio a dare senso alla propria vita. Ciò aiuterà a superare enormi ostacoli, che per alcuni sono improponibili, scandalosi per le limitate forze umane.

«Anche se la vita di una persona è un terreno pieno di spine ed erbacce, c’è sempre uno spazio in cui il seme buono può crescere. Bisogna fidarsi di Dio» (Papa Francesco).

Pio Bruno Lanteri è stato giovane; durante quel tempo la grazia lo ha temprato e formato.

Non è stato un tempo facile, essendo cresciuto senza una madre. Quando aveva quattro anni, a Pio Bruno Lanteri venne a mancare la mamma, morta a 34 anni.

Si può capire che non fu facile la sua giovinezza, ma poté contare sull’aiuto del papà e delle zie.

Di questa privazione non ne fece una scusa per allontanarsi da Dio. Anzi, fin da giovane cercò di piacerGli e di essere generoso nei Suoi confronti, disprezzando i timori vani.

Ebbe un esempio positivo nel proprio papà, che –primario dell’Ospedale di Santa Croce– si mise al servizio del bene pubblico, distinguendosi per scienza durante l’epidemia che colpì la città negli anni 1774 e 1775. Il dottor Pietro, stimato per l’integrità morale, era chiamato “padre dei poveri” per la carità. Quando questi si ammalavano facevano chiamare il medico bravo e buono; egli andava volentieri, li curava con amore ed in quanto all’onorario faceva loro sconti o non voleva che se ne parlasse. A volte era lui stesso ad aprire il borsellino per lasciare i soldi necessari per comprare le medicine. Alla cura generosa per il corpo –s’era il caso– aggiungeva consigli per la salute dell’anima.

Talvolta Bruno lo accompagnava nelle visite ai malati; si rese conto di come agisse la Provvidenza: se una persona diventa malata, un’altra può visitarla ed aiutarla; se uno è affamato, un altro può provvedergli il cibo.

Come suo padre, anch’egli detestò l’insipienza e l’opinionismo superficiale, prediligendo lo studio e la riflessione._240190 Amava le scienze matematiche e quegli autori che con una fede profonda vedevano nell’Universo un significato profondo. Con logicità ricercò Dio, notando i limiti di tanti pensatori del suo tempo: «I filosofi, con tutta la loro scienza, hanno ignorato la vita eterna e la strada per arrivarvi, l’Incarnazione, gli Angeli, i demoni, la Chiesa e non hanno che una conoscenza ben scarsa dell’immortalità dell’anima. Eppure non vi è niente di più grande che queste verità e le donne più ignoranti le conoscono tutte sapendo il Simbolo (Credo)».

Come tutti i giovani, anche Bruno si faceva tante domande. Amava però avere delle risposte. Per questo stimò la catechesi, che aiuta le persone ad amare Dio, convinto che «è migliore l’amore di Dio che la conoscenza di Dio». È l’amore per Dio che porta a non cadere in polemiche amare e dispute infruttuose, e ad impegnarsi perché nessuno dei fratelli vada perduto.  

Dal papà ebbe una forte educazione cristiana all’amore ed al timore di Dio, inteso nel senso di paura di perdere Dio.

La fede del giovane Bruno non era però un talismano portafortuna od un credere opportunista in un Dio-tappabuchi. Nonostante la sua fedeltà a Dio le prove non gli mancarono.

Quando aveva 17 anni ebbe un nuovo grande dolore. Il 28 maggio 1776 morì la sorella Teresa, all’età di 24 anni: la settima bara che il dottor Pietro vedeva uscire dalla sua casa.

Non è improbabile che questo ultimo lutto abbia lasciato un grande vuoto nel cuore di Bruno, facendogli ricordare ancora una volta, e quasi toccare con mano, il «vanità delle vanità, tutto è vanità» (Qo 1,2), la vanità e vacuità di tutte le cose umane, la tremenda realtà della morte e l’unica cosa necessaria nella vita: amare Dio e vivere sempre uniti con Lui. Bruno, come il padre, non si buttò nell’alcol o nel fumo, con la scusa delle delusioni personali e dei vuoti affettivi.

Non ricercò la persona che potesse al momento soddisfare alle esigenze del proprio cuore. Si preoccupò di amare in grande, avendo i Sacri Cuori di Gesù e di Maria come oggetto del suo amore. Decise di divenire sacerdote.

All’inizio degli studi teologici Bruno fu confuso da un suo compagno di studi, il cavalier Giovanni Carlo Pellegrini di Castelnuovo, che gli passò testi di autori rigoristi. Fu portato così a valutare le cose con il metro della giustizia e non con quello della misericordia.

Presso l’opinione pubblica gradualmente si stavano facendo strada principi che oggi caratterizzato la modernità: il ragionare sulla religione, il dilagare della superstizione che conduce all’apostasia, l’ergersi dell’opinione in idolo, l’estromissione della Chiesa per una religione civile e l’ideologia dello Stato.

Per la confusione che trovò in tanti insegnanti e professori universitari, ricercò una persona che ragionasse con la propria testa e che lo aiutasse nel vedere le cose con purezza di cuore. La trovò in Nikolaus Albert von Diesbach, un sacerdote di ricca esperienza di vita. Nobile di famiglia e protestante, poi militare, quindi cattolico, sposato e papà, diseredato dalla famiglia e vedovo, quindi gesuita, … Insomma, un uomo ricco di umanità e spiritualità. Diesbach lo aiutò a lasciarsi guidare dalla ragione e dalla fede per incontrarsi con Gesù Cristo.

Al sacerdote svizzero si deve molto per la rinascita dello zelo sacerdotale, specie grazie alle «Amicizie Cristiane». In esse si preoccupò di formare cristiani, che –consapevoli della gravità del momento– contrastassero l’offensiva antireligiosa con una fede profonda ed influissero l’opinione pubblica tramite la diffusione della buona stampa.

Lanteri apprese da padre Diesbach a stare in mezzo alla gente con lo zelo ingegnoso della carità. É importante l’«intelligentia caritatis»: non una carità-elemosina, sbrigativa, allontana-scocciatore, ma una carità intelligente, come evidenziò san Tommaso d’Aquino (1225-1274).

Finita la giornata, specialmente nei giorni freddi, il giovane Lanteri cominciava con Diesbach un’altra attività non meno impegnativa e fruttuosa.

Passavano sul finire della giornata sotto i portici della fiera, per trovarvi qualche povero mendicante, lavoratore disoccupato o giovane spazzacamino sceso dalle vallate alpine ed abbandonato a se stesso. Con carità lo portavano a casa del sacerdote svizzero, gli permettevano di lavarsi, lo ristoravano con del cibo, gli insegnavano a pregare e facevano una breve istruzione religiosa.

Diesbach e Lanteri avrebbero voluto soccorrerli tutti, ma era impossibile; perciò quello che non potevano fare tutto in una volta, procuravano di farlo per gradi, cominciando da chi era più povero ed abbandonato.

Per questo Lanteri, una volta sacerdote, insegnò ai giovani da lui seguiti spiritualmente a considerare eventi, fatti, esperienze, seduti al proprio tavolo od in ginocchio davanti a Dio. Invitò a rileggere i significati, i segni –spesso sfuggenti– della vita, nel proprio intimo, per interpretarli con grande senso di fede.

Lanteri propose ai giovani modelli costruttivi. Non ci si doveva limitare ad essere culturalmente preparati: era necessario esser dotati d’una profonda spiritualità. Insegnò ad unire la memoria a Dio Padre, l’intelletto al Figlio e la volontà allo Spirito Santo; in questo modo la memoria mantiene la presenza di Dio, l’intelletto vede e giudica secondo i principi di fede, la volontà è unita a quella di Dio.

Si deve accendere la lucerna della propria coscienza e ritrovare l’originaria e genuina immagine di Cristo. La gioia di chi ritrova se stesso è condivisa dagli Angeli di Dio quando «un solo peccatore si converte» (Lc 15,10), infatti tutta la loro aspirazione mira alla riuscita della nostra vita: essi desiderano ardentemente che noi viviamo secondo il disegno di Dio.

Nel momento in cui si chiudeva una stagione e se ne apriva un’altra, Lanteri non ha educato i giovani a fermarsi a rimpiangere il tempo passato. Piuttosto ha insegnato a leggere, pregare, meditare, confrontarsi, chiarendo il senso ed il modo della propria missione, verificando se le ispirazioni fossero solo umane o se avessero del divino.

Non si è preoccupato per la cura delle strutture, ma delle persone; per lui «un’anima è una diocesi», come insegnava san Francesco di Sales (1567-1622).

Nell’azione pastorale non ci si doveva limitare di giungere a tutti gli uomini; si doveva pensare di arrivare a tutto l'uomo: al suo intelletto, alla sua volontà ed alla sua memoria.

Lanteri invitava a costruire un santuario nel proprio cuore. È nel profondo di noi stessi che dobbiamo leggere la direzione da prendere.

Oggi che la società non è più cristiana, ogni giovane deve trovare nel proprio cuore–santuario la forza per vivere da vero discepolo di Cristo.

Auguro ai giovani di seguire gli esempi e la saggezza del ven. Pio Bruno Lanteri, sacerdote ed amico.

 

Articolo tratto da: Myriam "Lasciamoci salvare da Cristo" (n. 1 del 2020)

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