La donna di valore

La donna di valore

 

festa della donna

TESTO BIBLICO

Proverbi 31,10-31

 

10 Una donna di valore, chi la troverà? Lontano dal corallo il suo prezzo.
11 Confida in lei il cuore di suo marito bottino non mancherà.
12 Arreca a lui bene e non male tutti i giorni della sua vita.
13 Cerca lana e lino, lavora con il gusto delle sue mani.
14 È come le navi di un mercante da lontano fa venire il suo cibo.
15 Si alza quando è ancora notte, dà cibo alla sua casa, e porzione alle sue serve.
16 Esamina un campo e lo compera, con il frutto delle sue mani pianta una vigna.
17 Cinge con forza i suoi fianchi e rafforza le sue braccia.
18 Gusta con piacere che il suo commercio va bene non si spegne di notte la sua lampada.
19 Le sue mani stende verso il fuso, e le sue palme afferrano la rocca.
20 Le sue palme apre al bisognoso e le sue mani stende al povero.
21 Non teme per la sua casa, se nevica, perché tutta la sua casa è rivestita di scarlatto.
22 Si è procurata delle coperte, di lino e di porpora sono le sue vesti.
23 È stimato alle porte suo marito, quando siede con gli anziani del paese.
24 Tuniche fa e vende, cinture dà al mercante.
25 Forza e dignità il suo vestito, sorride al giorno che viene.
26 La sua bocca apre con sapienza, un’istruzione di bontà sulla sua lingua.
27 Vigila l’andamento della sua casa, pane di pigrizia non mangia.
28 Si alzano i suoi figli e la dichiarano beata, suo marito per lodarla:
29 «Molte donne hanno fatto prodezze, ma tu hai superato tutte».
30 Ingannevole la grazia e fugace la bellezza, la donna che teme il Signore, essa merita lode.
31 Date a lei dal frutto delle sue mani, lodino lei alle porte le sue opere.

 

COMMENTO

 

Potrebbe sembrare un testo molto maschilista, ossia l’elogio di una donna che sia utile all’uomo. E quindi la nostra lettura e commento del brano sarebbe inutile, perché tradirebbe una cultura che non ha più diritto di cittadinanza. Ma è proprio così?

Anzitutto si noti una cosa: che già al suo tempo questo poema, tratto dal libro della Sapienza, si poneva in contrasto con la cultura dominante. Infatti esso non esalta la bellezza della donna, non descrive inoltre il suo aspetto fisico e non menziona sentimenti d’amore. Di questa donna si sottolinea soprattutto quello che fa. Questa descrizione è sicuramente una critica alla letteratura dedicata alle donne nel Vicino Oriente Antico, la quale era soprattutto interessata all’aspetto fisico della donna e fortemente caratterizzata in senso erotico. Contro l’ideale della perfezione femminile riflessa appunto nella poesia erotica diffusa e coltivata nel contesto delle corti reali e degli harem, il poema acrostico glorifica piuttosto l’agire attivo di una donna impegnata nei normali affari di famiglia e sociali.

Ma che importanza ha per l’autore del poema questo fare instancabile (si alza quando è ancora notte e, d’altro canto, la sua lampada non si spegne neppure di notte)? Non si tratta dell’elogio dell’iper-attivismo, ma di un fare che corrisponde a un progetto preciso, a una previa valutazione attenta (v. 16) – quindi una donna che riesce a realizzare ciò che desidera -; un fare, probabilmente, che non è solo materiale, ma una seconda e più importante finalità: la cura delle relazioni in famiglia e non solo. Tali relazioni per la donna di valore sono più importanti delle cose stesse che fa e dei beni, che sono solo degli strumenti. Il tesoro sono le persone con le quali lei vive in relazione!

Allora più che un testo maschilista, tale poema rappresenta davvero l’ideale – certamente con espressioni iperboliche – di un ritratto femminile caratterizzato dalla sapienza. E qui per “sapienza” non si intende solo un fatto di conoscenza; sapiente è colui che sa vivere, che vive con “gusto” la sua vita.

 

Per un profilo della donna di valore

a) Il “fare”. Addirittura questa donna fa delle cose che solitamente facevano gli uomini: compra un campo, pianta una vigna (cfr. v. 16), fa affari (cfr. v. 24) e insegna (cfr. v. 26). Il lavoro non è visto come compito degli schiavi, come avveniva invece nella colta Grecia, bensì come obbedienza al comando di Dio: “riempite la terra e soggiogatela” (cfr. Gen 1,28). Nel secondo racconto biblico della creazione Dio pose l’essere umano nel giardino appena creato (cfr. Gen 2,15) non solo per prendersi cura dell’esistente (custodire), ma anche per lavorarvi affinché producesse frutti (coltivare). L’uomo, mediante il lavoro umano, è chiamato a far emergere le potenzialità che Dio stesso ha inscritto nelle cose. Si pone nei confronti della creazione come con-creatore di un mondo, creato bello e buono dal Creatore.

La donna del cantico fa proprio questo: con il suo lavoro rende più bello l’ambiente umano familiare ed extrafamiliare.

 

b) A servizio della vita. Con il suo lavoro la donna-sapiente è a servizio della vita. Dei suoi familiari, anzitutto, che hanno “doppio vestito” (v. 21), nonché coperte per ripararsi del freddo della notte (cfr. v. 22), ma anche di chi è nel bisogno (cfr. vv. 19-20). Le mani che si muovono alacremente dal mattino alla sera, sono anche stese verso i poveri.

In questa prospettiva acquista senso il riferimento al «timore del Signore» che si trova alla fine del poema (v. 30). La fede della donna non si manifesta qui attraverso gesti rituali o atteggiamenti devozionali, ma si incarna in gesti concreti di solidarietà che esprimono il senso profondo del progetto di società che la legge del Signore, la sua istruzione, si propone di costruire tra gli uomini. Un progetto alternativo a quello vigente nelle società di ieri e di oggi, centrato, in genere, sul potere, sul prestigio, sul denaro; un progetto, invece, nel quale ogni uomo viene soccorso dal Signore nel suo bisogno, ma attraverso le mani di un fratello.

 

c) Una donna “forte”. L’inizio del poema (v. 10), che dà il tono a tutto ciò che segue, è costituito da un’espressione chiara, ma difficile da tradurre: ʾēšet ḥayil, che viene tradotta dalla LXX con ἀνδρείαν (virile) e dalla Vulgata con mulierem fortem. Il termine ḥayil ricorre 222 volte nella Bibbia ebraica e si riferisce a vari ambiti: alla forza [1], spesso con riferimento a uomini che sono soldati[2] , oppure alla ricchezza[3], al profitto[4]. Generalmente, uomini di questo tipo sono legati al potere, proprietari di beni, persone capaci.

In cosa consiste allora la “fortezza” di questa donna? È chiaro che qui non si parla di una fortezza fisica, ma della fortezza d’animo, propria di chi non si lascia prendere dalla pigrizia, come si afferma chiaramente al v. 27: “pane di pigrizia non mangia”. Il libro dei Proverbi stigmatizza numerose volte l’insipienza del pigro[5] e, in particolare in 21,25, così afferma: “I desideri del pigro lo portano alla morte, perché le sue mani rifiutano di lavorare”. Una donna, quindi, che non si lascia prendere dalla pigrizia, e la allontana prontamente come una tentazione.

 

d) Una donna che vive con “gusto”, gioiosa. All’inizio del libro dei Proverbi si afferma che l’uomo sapiente può gustare nel suo cuore le delizie e dolcezze dalla sapienza stessa (cfr. Pr 2,10). Se, infatti, la sapienza non è solo conoscere le cose ma anche vivere con gusto, con sapore, la nostra donna vive in tal modo il suo impegno. Gesù stesso nel vangelo sostiene che chi vive la sua sapiente parola deve essere una persona “salata”, e avverte che chi nono ha tale gusto fa, paradossalmente, la fine del sale insipido: “a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini” (Mt 5,13; Lc 14,34).

Oserei aggiungere, alla luce delle parole di Gesù, che tale donna deve essere anche felice. In At 20,35 infatti leggiamo: “Vi è più gioia nel dare che nel ricevere”. Gioia che la donna prova nel servire con amore i familiari e chi è bisognoso. Gioia, quindi, che è il risultato inaspettato dell’amore. Paradosso molto vero: la gioia si trova quando non la si cerca, quando si è dimentichi di sé e si vive con libertà interiore i propri servizi per amore. La gioia, quindi, non può essere raggiunta in modo diretto. Oggi, come sappiamo, c’è una grande ricerca di gioia, ma paradossalmente chi cerca di ottenerla per sé, mediante il possesso egoistico dei beni, il piacere del godimento, il potere e ogni altra autoaffermazione sulle cose e sui beni creati, si ritrova, alla fine, con in cuore vuoto.

 

e) Una donna religiosa. Al v. 30 si afferma espressamente: “la donna che teme il Signore… merita la lode”. Nel libro dei Proverbi si afferma chiaramente che non si può conseguire la sapienza senza il timore del Signore[6]. Vi si intrecciano un’azione divina e una disposizione umana. La sapienza, infatti, è un dono che il sapiente si dispone a ricevere dall’alto, dall’Unico che possa abbracciarne e afferrarne i segreti misteriosi e inaccessibili. E la preghiera è il luogo più appropriato per chiederla al Signore. D’altra parte ciò si integra, senza contrasto, con la coscienza di una sapienza che è il risultato di una ricerca assidua, di un esercizio di riflessione e di intelligenza per conoscere al meglio la realtà circostante con il gioco delle sue regole vitali. Tuttavia rimane vero che risulta vano ogni sforzo di ricerca umana della sapienza, se il Signore non interviene a donarla.

Ecco l’atteggiamento di questa donna: è sapiente perché aperta ad accogliere la sapienza che Dio dona. Non è una persona orgogliosa, ma umile; ed è, nonostante tutto il suo assiduo impegno, anche una donna di preghiera.

È interessante ciò che afferma il v. 11 del cantico: “In lei confida il cuore del marito”. Al di fuori di questo testo e di Gdc 20,36, infatti, la Scrittura condanna la fiducia riposta in qualcosa o in qualcuno al di fuori del Signore[7]. L’eccezione costituita da Pr 31,11 eleva la donna forte, che teme il Signore, al più alto livello di competenza e di spiritualità. 

f) Una donna bella. Al v. 10 del cantico la donna è paragonata ai «coralli» o alle «perle», gioielli. Eppure in tutto il cantico non si parla, come abbiamo già accennato, della bellezza fisica della donna, né dei suoi gioielli, anzi si afferma: “Ingannevole la grazia e fugace la bellezza” (v. 30). Eppure questa donna è davvero bella. Di quale bellezza? Di quella interiore. Ricordiamo l’insegnamento di San Paolo nella sua lettera a Timoteo: “Alla stessa maniera facciano le donne, con abiti decenti, adornandosi di pudore e riservatezza, non di trecce e ornamenti d'oro, di perle o di vesti sontuose” (1Tm 2,9). Anche Pietro, sulla stessa linea, esorta le donne cristiane: “Il vostro ornamento non sia quello esteriore - capelli intrecciati, collane d'oro, sfoggio di vestiti -; cercate piuttosto di adornare l'interno del vostro cuore con un'anima incorruttibile piena di mitezza e di pace: ecco ciò che è prezioso davanti a Dio. Così una volta si ornavano le sante donne che speravano in Dio” (1Pt 3,3-5a). Questo deve essere – secondo Pietro – il vero ornamento della moda femminile. Conta ben poco l’ornamento esteriore, mentre va curato il “cuore”, la parte più intima e profonda della persona, la sede della coscienza, da dove sgorgano i pensieri, i desideri e le decisioni. In altre parole Pietro esorta le donne a passare dal piano delle belle cose (monili e vestiti preziosi) si passa al piano dell’essere, quasi a dire che il vero ornamento non sta in ciò che si indossa ma in ciò che si è. Insomma, va coltivata una bellezza integrale che non si limiti all’aspetto fisico, né puramente alla cura dell’anima: una bellezza che tocca l’intero comportamento e trasfigura tutta la persona.

 

Una donna difficile da trovare?

Il v. 10 del cantico, che paragona la bellezza della donna ai gioielli che non sono alla portata di tutti e che non sono neppure facili da trovare, ma esigono una ricerca attenta. Così è la donna di cui il cantico intesse le lodi. Ma è proprio così? Certo, la tradizione cristiana conosce divere donne ufficialmente riconosciute sante. Sono state davvero donne “forti”, che hanno combattuto non solo con le difficoltà della vita, ma anche con Colui che si oppone al vero bene dell’uomo, colui che cerca di vanificare ciò che Dio stesso desidera per l’uomo, Colui che fin dalla Genesi ha cercato di guastare il progetto bello della creazione divina.

E’ chiaro che anche questa domanda va “girata “ a ciascuno di noi: che donna intendo essere?

 

 Padre Michele Babuin, omv

____ NOTE ___

 

[1] Cfr. Gdc 3,29; 1Sam 2,4; Sal 18,33.40; Qo 10,10; Zc 4,6.

[2] Cfr. Gs 1,14; Gdc 6,12; 11,1; 2Re 24,14; 1Sam 16,18; 1Cr 12,9; 2Cr 17,13.

[3] Cfr. Gen 34,29; Nm 31,9; Dt 8,17; 1Re 10,2; 2Cr 9,1; Ez 28,5; Zc 14,14.

[4] Cfr. Ez 28,5; Gb 20,18.

[5] Cfr. Pv 6,6.9; 10,26-27; 13,4; 15,9; 19,24; 20,4; 21,25; 22,13; 24,30; 26,13; 26,14-16.

[6] Cfr. Cf. Pr 1,7.29; 2,5; 8,12-14; 9,10; 15,33. 

[7] Cfr. 2Re 18,21; Sal 118,8-9; Is 36,5; Ger 5,17; 12,6; 48,7; Ez 33,13; Mi 7,5; ecc.

Ultima modifica il 12 Marzo 2019

Contatti

santuarionsdifatima@gmail.com

Please, enter your name
Please, enter your phone number
Please, enter your e-mail address Mail address is not not valid
Please, enter your message
Acconsento al trattamento dei dati ai sensi del DLgs 196/2003 e del Reg. UE 2016/679.
Leggi l'informativa

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti alla nostra newsletter: sarai costantemente informato sulle nostre iniziative, eventi, etc...

Donazioni

  • Il Santuario N.S. di Fatima nato per la generosità di tante persone e per chi ha donato tutto per la maggior Gloria di Dio, si sostiene con il contributo libero di quanti devolvono a suo favore offerte. Chi volesse contribuire può farlo:

    IBAN: IT55 G 03069 39450 100000009531

    Banca Intesa San Paolo
    C.C. POSTALE 439018
    intestato Istituto degli Oblati di Maria Vergine, Santuario N.S. di Fatima