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L'esame di consapevolezza

Vogliamo qui trattare di quello che normalmente chiamiamo “esame di coscienza”, che – in prospettiva ignaziana – è più corretto chiamarlo “esame di consapevolezza”.

 

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Come intendere rettamente l’esame di consapevolezza

Esame e discernimento

Per molti oggi la vita non è altro che spontaneità. Se la spontaneità è trascurata o soffocata, la vita stessa è morte. Da questo punto di vista, l’esame è la vita vera privata della spontaneità. Per queste persone lo Spirito è nella spontaneità; per cui qualunque cosa militi contro la spontaneità non è spirituale.

Questa idea non tiene conto del fatto – come ben sappiamo – che nella coscienza ed esperienza di ciascuno di noi sono radicate due spontaneità: una buona, secondo Dio, e una cattiva, non secondo Dio. Questi due tipi di impulsi e movimenti capitano a tutti noi. Per una persona desiderosa di amare Dio con tutto il proprio essere, il problema è la capacità di vagliare i vari impulsi spontanei per dare piena approvazione quelli che sono da e per Dio e respingere gli altri che ci allontanano da Lui e dalla sua volontà. In tutto questo l’esame ha un ruolo centrale.

Quando l’esame è collegato al discernimento, diviene esame di consapevolezza più che di coscienza. L’esame di coscienza ha un tono strettamente moralistico. Nell’esame di consapevolezza la prima cosa da guardare non è la moralità di azioni buone o cattive, ma piuttosto come il Signore ha agito nel nostro cuore cercando di illuminare la mente (ricordiamo l’importanza di discernere i pensieri che vengono da Dio) di fronte a certe situazioni quotidiane, e toccando e muovendo in profondità la nostra affettività. Ciò che sta accadendo nella nostra coscienza procede ed è più importante delle nostre azioni, che giuridicamente possono essere catalogate come buone  o cattive. Come stiamo sperimentando il disegno del Padre (Gv 6,44) nella nostra coscienza esistenziale e come la nostra natura corrotta ci sta tentando pian piano e ci sta attirando lontano dal Padre nostro attraverso i sottili raggiri del Nemico: è questo l’oggetto del nostro esame quotidiano, prima di guardare al modo in cui noi corrispondiamo attraverso le azioni. Certo, l’esame non deve dimenticare o trascurare i nostri mancamenti, non solo perché sono moralmente condannabili, bensì in quanto rappresentano dei momenti di infedeltà alla voce del Signore.

L’esame di coscienza così inteso non si ridurrà allora a una pia “pratica” quotidiana (Ignazio la richiede due volte al giorno), ma troverà la sua più solida giustificazione e il suo più valido sbocco in quell’“habitus” di vigilanza: la “pratica” mira a crearlo e a farlo crescere e diventare sempre più attivo.

Sant’Ignazio fece uso costante dell’esame di coscienza, come ne danno testimonianza i suoi più intimi e familiari. Esaminava sempre ogni movimento e inclinazione del suo cuore, il che vuol dire che discerneva quanto ogni cosa fosse congruente con il suo vero io incentrato in Cristo, al fine di progredire.

Nell’annotazione 1 degli Esercizi sant’Ignazio accenna alla differenza tradizionale tra il camminare il correre nella vita spirituale. Il semplice fedele cammina nella via del Signore, il discepolo vuole invece correre, rimuovendo ogni impedimento, superando ogni intralcio.

 

Una forma di preghiera

L’esame di coscienza va quindi considerato una forma di preghiera, non solo un mezzo di disciplina ascetica. E’ l’uno e l’altro insieme. L’esame fa sì che la nostra esperienza di contemplazione quotidiana di Dio dia una spinta reale al nostro vivere di ogni giorno: è un mezzo importante per trovare Dio in ogni cosa, e non solo nel tempo formale della preghiera. Senza questo contatto contemplativo con la rivelazione che il Padre fa della realtà in Cristo, la pratica quotidiana dell’esame diventa vuota, avvizzisce e muore. Senza questa relazione, l’esame – se proprio si continua a farlo – scivola a livello di riflessione su di sé in vista di un autoperfezionismo. L’esame senza una regolare contemplazione, è quindi futile.

 

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Articolazione dell’esame di coscienza

Sant’Ignazio articola l’esame di coscienza in 5 punti o 5 tappe(Esercizi n. 43), che vanno visti e gradualmente sperimentati nella fede, come dimensioni della coscienza cristiana formata da Dio.

 

RENDIMENTO DI GRAZIE

Il primo movimento dell’esame di coscienza – rendere grazie – è anzitutto un rinnovare la propria fede nella divina Provvidenza, che con la sua azione benefica piena, paterna  e continua fa concorrere tutto a mio vantaggio. Il suo amore è personale, è un amore che mi colma di doni, che previene le mie attese e interviene in mio favore con premura. Questa fede rinnovata nell’attività provvidenziale del Signore basta da sola a lenire ogni inquietudine, a spegnere ogni risentimento. Ogni creatura, ogni particolare della giornata mi è stato di aiuto nella misura in cui non mi sono chiuso all’intenzione divina e non mi sono rinchiuso nell’orizzonte terreno, resistendo al disegno divino.

Se fondata così sulla fede assoluta e luminosa nella Provvidenza, la memoria dei benefici fa parte del riconoscimento evangelico concreto delle verità vedute. Riconoscere i doni del Signore, la sua presenza affet­tuosa nella mia vita, mi radica nel suo amore e mi permette di guardare alla vita con ottimi­smo, fiducia, speranza, voglia di fare.

Questa fase dell’esercizio esprime dunque un ringraziamento motivato e cosciente per tutti i doni ricevuti. Così svilupperò un atteggiamento vigilante, attento a scoprire il bello, il buono, il bene, il positivo presenti nella mia vita.

- E’ opportuno innanzitutto ricordare, volta per volta, uno dei grandi doni della fede che mi aiutano nel mio cammino spirituale: le «benedizioni» di Efesini 1, 3-14 (la creazione, l’ele­zione, la redenzione, la filiazione, la ricapitolazione, lo Spirito); ancora: la fede, i sacramen­ti, la provvidenza, la Chiesa, la vita, il mondo, gli altri, ....

- Quindi passare in rassegna tutti i doni ricevuti in questo giorno: i piccoli-grandi fatti, cioè, nei quali ho letto l’amore di Dio per me (momenti positivi, relazioni fruttuose, avvenimenti gioiosi, semplici, fraterni) e quelli nei quali ho visto nascere e vivere, nei rapporti tra le persone, i doni dello Spirito: «amore, gioia, pace, comprensione, cordialità, bontà, fedeltà, mansuetudine, dominio di sé» (Gal 5, 22-23).

- Infine, direi, è bello ringraziare il Signore anche per i favori “temporali”. Così notando tale benevolenza divina il nostro cuore si riscalda, s’infervora nell’amore di Dio. Perché – ad esempio – ringraziare raramente per la buona salute? Se mai sfogliamo un manuale di patologia medica, presto ci rendiamo conto che la buona salute è come un miracolo permanente, un continuo scampo ai mille pericoli e squilibri che stanno come in agguato. Se i genitori, pur disinteressati, accolgono con speciale gioia il grazie dei figli, quando questi si accorgono delle premure, di ciò che fanno per loro; così e quanto più il Signore, da cui discende ogni sentimento paterno tra gli uomini, non accoglierà il nostro grazie? E finalmente se considero me stesso attualmente creato, donato a me stesso, il ringraziamento finisce in adorazione.

Preghiera. Ti ringrazio, Signore:
- per questo particolare dono della fede...
- per questi piccoli-grandi doni che mi hai fatto oggi...

 

DOMANDA DI LUCE ALLO SPIRITO SANTO

La domanda di luce allo Spirito ha un duplice scopo: per conoscere me stesso, e per riconoscere nella mia giornata le chiamate del Signore.

 
1. Per conoscere me stesso

Già gli antichi saggi ammettevano che la sapienza sta in primo luogo nel conoscere se stessi. All’ingresso del tempio di Delfo era scritto: «Gnôti seauón», che i latini traducevano «nosce teipsum» (conosci te stesso).

Da parte sua, la fede conferma e fa intravedere ancor più profondo il mistero dell’uomo: la dottrina del peccato originale allude a un caos interiore subentrato fin dagli inizi della storia nel nostro cuore; l’affermazione che siamo fatti «ad immagine e somiglianza di Dio» rivela virtualità inaudite. Solo Dio conosce perfettamente se stesso e può sondare fino in fondo anche gli abissi della nostra miseria e della nostra dignità, delle nostre infedeltà e delle nostre potenzialità: «Signore, tu mi scruti e mi conosci» (Sal 139/140). La nostra domanda si può allora tradurre più determinatamente: «Signore, fa’ che io mi conosca come tu mi conosci. Che nella misura del possibile io diventi trasparente ai miei occhi come lo sono ai tuoi! Che possa in verità conoscere il mio cuore, le motivazioni e intenzioni delle mie azioni». Si può rievocare lo sguardo di Gesù a Pietro durante la passione e affidarci a quel raggio di luce che penetrò nel cuore dell’apostolo, non come fredda e impietosa luce ma cole calore che ne scioglieva la durezza (cfr. Lc 22,61-62).

 
2. Per riconoscere nella giornata le chiamate del Signore

La preghiera di discernimento ha come scopo principale appunto quello di aiutarmi a discer­nere la volontà di Dio sulla mia vita, ossia come affrontare le situazioni della vita che mi si presentano, in modo che con le mie scelte, i miei atteggiamenti, i miei comportamenti io possa costruire la mia risposta d’amore all’amore di Dio per me, dare il mio personale con­tributo alla realizzazione del Regno di Dio.

In che modo posso dunque capire quale scelta assumere, quale atteggiamento adottare, come comportarmi in quella determinata situazione? Prestando attenzione ai movimenti interiori che provo come reazione interiore a quella situazione, per cui è necessario discer­nerli per decidere se assecondarli o meno.

Se la scelta, l’atteggiamento, il comportamento che essi mi spingono ad assumere in quella situazione mi porta a conseguenze positive per me e per gli altri e mi lascia nella serenità e nella pace (anche se mi costa), significa che questi sentimenti è Dio ad ispirarmeli per il mio bene. Accolgo dunque questa mozione che mi spinge a scegliere o agire in un certo modo come chiamata di Dio a crescere nella libertà e nell’amore ad immagine di suo figlio Gesù Cristo.

Se, al contrario, prevedo che le scelte ed azioni che mi sento spinto a fare avranno delle conseguenze negative ed inoltre non mi fanno sentire tranquillo, in armonia con me stesso, con gli altri e con Dio, si tratta di una mozione dello spirito del male per farmi allontanare dalla strada del bene autentico e la respingerò come tentazione dei demonio che mi allonta­nerebbe dal mio bene autentico

Ora siccome nell’esame ci consapevolezza ho bisogno di rileggere ciò che già è avvenuto in me, chiedo luce allo Spirito perché sappia cogliere i movimenti più significativi che hanno attraversato il mio cuore, sia come conseguenza degli eventi che mi si sono posti davanti, sia come azione diretta dello Spirito del Signore o del Nemico.

Preghiera. Signore, dammi il tuo Spirito, perché possa vedere me stesso e il mio vissuto di oggi come tu lo vedi, con i tuoi occhi ed il tuo cuore.

 

DOMANDARE CONTO ALLA COSCIENZA

In questo terzo punto dell’esame di solito ci affrettiamo a rivedere in qualche particolare le azioni di quella parte della giornata appena conclusa, per poterle catalogare come buone o cattive. Proprio quello che non dovremmo fare! Lo ribadiamo: la nostra prima preoccupazione è invece quella di riconoscere quello che è accaduto in noi dall’ultimo esame, come il Signore ha operato nel nostro cuore, che cosa ci ha chiesto. E solo in un secondo momento saranno considerate le azioni.

Questa parte dell’esame suppone che siamo attenti alle illuminazioni, ai sentimenti, agli stati d’animo, agli impulsi più piccoli – cioè gli «spiriti» - che devono essere esaminati e vagliati, perché possiamo riconoscere la chiamata di Dio a noi nella profondità del nostro essere.

L’esame di coscienza, dunque, non è introversivo. E’ interessato al servizio divino compiuto dal soggetto e nel soggetto, come si controlla un lavoro portato a termine: sia al servizio del Signore. Paolo usa termini commossi quando parla della coscienza: «buona coscienza» (1Tim 1,5.9; Eb 13,18), «coscienza pura» (1Tim 3,9), coscienza cioè divenuta diafana di Dio, profumata di Dio, interprete dello Spirito Santo. Veramente la coscienza serena nel Signore è la Terra promessa della vita cristiana. L’esame è mezzo «per conservarsi nella pace e nella vera umiltà interna».

La nostra prima attenzione qui è perciò rivolta verso ciò che è successo nel nostro cuore: per prendere coscienza delle motivazioni e intenzioni del mio agire, sentimenti ed emozioni; e inoltre per valutare in che misura ho colto e risposto alle chiamate del Signore.


1. Motivazioni e intenzioni, sentimenti ed emozioni, mente e cuore

1.1.  Motivazioni e intenzioni

Nell'esame di coscienza – come spesso si fa - non è sufficiente osservare le azioni, esterne o interne, ma è indispensabile indagare sulle motivazioni che spingono ad agire e sulle intenzioni che attraggono il nostro fare. Oltre a chiedermi cosa ho fatto devo sapere perché e per chi l’ho fatto. Solo a questa condizione comincia a farsi luce nel nostro psichismo, e possiamo sperare di scoprire — un po’ alla volta — quelle intenzioni nascoste, e meno rette che tanto spesso s’infiltrano indisturbate nelle nostre azioni, anche in quelle buone, fino a diventare motivazione più influente o addirittura principio di decisione e d’azione.

Ricordiamolo: ciò che abbiamo sempre più ignorato diventa lentamente padrone del nostro cuore. È un processo quasi impercettibile di sedimentazione progressiva, che parte dalle prime veniali concessioni e leggerezze, si radica in profondità quanto più genera abitudini sempre meno controllate e sempre più «autorizzate», e diventa motivazione inconscia quando innesca nel nostro modo di vivere un dinamismo automatico, resistente al cambiamento e ogni giorno più esigente nelle sue pretese. Ora, come ben sappiamo, è difficile scrutare e «liberare» l’inconscio, ma è possibile prevenirlo, ossia impedire quel processo di sedimentazione attraverso una quotidiana attenzione a ciò che in effetti ci spinge ad agire. Oltre tutto è proprio lì, nel «cuore», che si situa il peccato (cf. Mc 7,21-23).

L’esame di coscienza è la provvidenziale sosta nella giornata nella quale diventiamo più coscienti e dunque più liberi e meno automi, più responsabili di noi stessi e meno schiavi del passato.

1.2.  Sentimenti ed emozioni

Un altro mal vezzo dell’esame d’incoscienza è quello d’indagare solo sui comportamenti e sui fatti concreti, ignorando tutto quel mondo interiore di sensazioni, sentimenti, emozioni, ecc., che pure fa parte — eccome! — di noi. Non che tutto questo sia peccato, intendiamoci, ma è indubbiamente una pista utilissima per scoprirci e conoscere le reali motivazioni che muovono il nostro agire. Se, ad es., un fratello in comunità mi è cordialmente antipatico non è sufficiente che nell’esame di coscienza io controlli il comportamento tenuto con costui, magari congratulandomi con me stesso o giustificandomi perché «non gli ho mica fatto niente di male!», ma devo avere l’onestà di ammettere questo sentimento, d’interrogarmi sulla sua origine e sul suo significato, d’intuire come al di là di gesti concreti esso abbia condizionato il mio rapporto con lui e la comunità intera. Non c’è dubbio che farei delle scoperte interessanti sul mio egoismo latente, sul mio modo troppo umano di vedere gli altri, sulla mia tendenza pagana ad amare solo chi mi sta bene, ecc...

Lo stesso vale per i sentimenti positivi o troppo positivi (simpatie, attrazioni varie), o per le emozioni e sensazioni in genere che avverto in me. I momenti di gioia e di dolore, in particolare, costituiscono dei passaggi in cui emerge senz’altro qualcosa del mio io più profondo. Dunque sono aree obbligate d’indagine. Verificando che cosa in concreto mi fa godere e soffrire, fino a che punto mi lascio condizionare da queste emozioni e condiziono gli altri col mio umore, che cosa c’è dietro a certe sofferenze... io scopro una realtà del mio io che spesso resta nascosta, ma nondimeno influente. Potrei scoprire, ad es., che se soffro così tanto perché sono stato calunniato o trattato a parer mio ingiustamente, potrò anche avere le mie buone ragioni, ma oltre un certo livello m’accorgerò che la mia angoscia è segno d’eccessivo bisogno della stima altrui, di false aspettative nei confronti degli altri, d’un esagerato sentire di me stesso e della mia dignità. E mi guarderò bene allora dall’offrire, magari con sussiego e vittimismo, certe mie «sofferenze» al Signore!

Un buon esame di coscienza, in tali casi, è più che un termometro: mi misura la «febbre», e mi dice anche da dove viene. E probabilmente mi fa soffrire meno e meglio...

1.3. Mente e cuore

Chissà se i farisei facevano l’esame di coscienza; se lo facevano, certamente non andavano oltre la verifica della loro osservanza legale. Così fa oggi chi s’accontenta di controllare le trasgressioni senza interrogarsi sulle convinzioni. Aderire a un valore significa sperimentarlo sulla propria pelle, farne il principio ispiratore del decidere e dell’agire, conformare ad esso i propri gusti e i propri criteri valutativi, le aspirazioni e i progetti, insomma essere sempre più in sintonia con esso, amarlo ed innamorarsene. E soprattutto su questa sintonia che devo esaminarmi.

Dobbiamo ammettere, invece, che normalmente i nostri esami di coscienza indagano quasi esclusivamente sull’area della volontà, quasi ignorando mente e cuore. Ecco perché sono sempre sbrigativi, spesso ricchi di luoghi comuni e poveri di dolore vero, e solo raramente fanno nascere in noi un’autentica coscienza di peccato.

Sarà importante, in concreto, cogliere quei dettagli nei quali si nasconde e viene fuori la nostra mentalità: progetti, modi concreti d’attuarli, incidenza effettiva (e affettiva) dei valori nelle scelte, disponibilità a pagare di persona per il valore o ad essergli fedele nel segreto della propria coscienza; come pure sarà opportuno verificare il contenuto di immaginazioni, ricordi, sogni a occhi aperti, distrazioni ricorrenti, desideri intimi inconfessati, ecc.

Tutto questo è materiale utilissimo per scoprire ciò che abbiamo nella mente e nel cuore, e può diventare pericoloso non prestarvi attenzione, perché proprio lì dentro — anche lì dentro — è rintracciabile la mia identità. Nulla, nella nostra vita psichica e spirituale, succede a caso, e tutto, di quel che viviamo, lascia in noi un qualche segno. La stessa nostra coscienza, nella sua capacità di giudicare il bene e il male, ha la sua storia o preistoria; essa è il prodotto d’un laborioso e misterioso processo che ha luogo dentro di noi, a volte a nostra insaputa, e di cui avvertiamo chiaramente più il risultato o le conseguenze (il «sentire» una cosa come buona o cattiva) che non le singole fasi evolutive.

L’esame di coscienza è un vero e proprio confronto quotidiano, «in coscienza», con la Parola e i suoi criteri; più in particolare, è un porre costante attenzione al lento processo di formazione della coscienza stessa, perché non si compia indisturbato nel «sottosuolo» oscuro della nostra psiche, ma avvenga alla luce liberante della Parola di Dio.

In tal senso possiamo senz’altro dire che l’esame di coscienza «forma» la nostra coscienza. La forma al punto da renderla capace di percepire profondamente il peccato, e di soffrirlo come rifiuto della sua Parola e del suo progetto di amore. C’è un nesso evidente, tra queste tre realtà: esame di coscienza, formazione della coscienza, coscienza di peccato; e tale legame carica ancor più d’importanza quel momento di preghiera che ci mette di fronte a Dio nella verità di noi stessi.

 

2. Come ho risposto alle chiamate del Signore? Come ho reagito alle tentazioni del Nemico?

a) Guardando al mio cuore mi chiedo:

- con quali modi sottili, intimi (ispirazioni, illuminazioni, sentimenti suscitati dallo Spirito Santo) il Signore ha trattato con me nelle ore passate?  Forse non l’ho riconosciuto quando mi chiamava in quel momento appena trascorso.

- cosa ho avvertito nel cuore di fronte alle situazioni in cui mi sono trovato: occasioni di amore, di servizio, che si sono presentate davanti a me (l’incontro inaspettato con una persona, una richiesta che mi è giunta, una situazione in cui potevo intervenire positivamente, qualcuno che voleva essere ascoltato), situazioni nelle quali esercitare la pazienza, ecc?

b) Solo dopo aver preso coscienza di ciò che è avvenuto nel mio cuore potrò valutare come sono state le mie risposte alla sua chiamata: dove abbiamo detto il nostro sì o il nostro no? Quando la nostra “carne” o lo spirito del Nemico si sono insinuati e ci hanno ingannati? Qui va fatta una precisazione quanto mai necessaria a proposito dei movimenti disordinati: ne siamo responsabili e ce ne accusiamo solo nella misura in cui sono accettati volontariamente. E’ vero che non è sempre facile riconoscere nella prassi dove comincia l’eventuale consenso; ma non è affatto necessario affliggersi e cadere negli scrupoli. E’ salutare piuttosto – dopo aver fatto del nostro meglio per non acconsentire – rimettersi al Signore che ci conosce più di noi stessi e soprattutto è misericordioso. In ogni caso, l’avvertenza anche ai movimenti del tutto involontari è di grande utilità sia per conoscerci meglio, sia per nutrire una più sincera e profonda umiltà: l’involontarietà, infatti, non toglie che essi in qualche maniera provengano dal fondo del nostro essere, e certo non dal nostro essere migliore.

Può darsi che a qualcuna di queste chiamate o tentazioni abbia già dato risposta nel corso della giornata, magari dando retta allo spirito del male.

In tal caso è questo il momento di accorgermi dell’inganno in cui sono caduto,

* guardando alle conseguenze delle mie scelte / atteggiamenti/comportamenti (senz’altro negative per me stesso o per gli altri o sul rapporto con gli altri e con Dio),
* osservando quel che provo ripensando a ciò che ho fatto (disagio, dispiacere)
* cercando infine di capire come ciò sia potuto accadere (es. attaccamenti disordinati: non voglio assolutamente perdere o cerco a tutti i costi di ottenere qualcosa. Che cosa?).

In dialogo col Signore cercherò di discernere quale chiamata Egli mi rivolge per uscire da questa situazione di peccato e risolvere i problemi che essa ha creato. Appoggiandomi al suo perdono, che mi dà forza, fiducia, ottimismo, fede, speranza, mi rialzerò e riprenderò il cammino, pronto a compiere la sua volontà.

Preghiera

1. Oggi il Signore nella preghiera o durante la giornata, mi ha dato la seguente illuminazione o ispirazione…

2. A casa, al lavoro, nello studio,  tempo libero, durante la preghiera, facendo quella certa atti­vità, ecc.,
a)  * mi sono trovato in questa situazione
     * mi è capitato questo fatto
     * ho incontrato questa persona
     * ho sentito questi discorsi/notizie

b)  ed ho provato un sentimento di...
* gioia, soddisfazione, gratitudine, meraviglia, sorpresa, ammirazione, simpatia, pietà, entusiasmo, speranza, gusto spirituale, commozione, ottimismo, pace, serenità;
* noia, disagio, contrarietà, fastidio, antipatia, inquietudine, disappunto, turbamento, imbarazzo, smarrimento, sgomento, aridità, insoddisfazione, sfiducia, pessimismo, tristez­za, scoraggiamento, amarezza, dolore, sofferenza, disperazione, paura, rimorso, dispiacere.

c) che mi porta ad assumere questa scelta, questo atteggiamento, questo compor­tamento...

d)  con queste conseguenze...

⇒ poiché queste conseguenze sono positive per me e per gli altri, ho accolto questa mozione come chiamata di Dio?
⇒ poiché queste conseguenze sono negative per me e per gli altri, ho respinto questa mozione come tentazione del demonio che mi allontana dal mio bene autentico?

 

CONTRIZIONE E DOLORE DEL CUORE

La contrizione del cuore sgorgherà spontanea dal contrasto avvertito tra la Bontà divina e la propria ingratitudine: il cuore contrito è sintomo di fede viva. In ogni caso dovemmo essere interessati in primo luogo alla sincerità del nostro dispiacere più che all’intensità: non perché questa non abbia valore (tutt’altro!), ma solo perché è mille volte meglio un pentimento modesto ma sincero che un pentimento pompato artificialmente a forza di volontà.

Da qui sgorgherà il canto di un peccatore costantemente consapevole di essere preda delle sue tendenze peccaminose, e tuttavia di essere convertito nella novità, garantita dalla vittoria di Gesù Cristo.

Preghiera

* Signore, in queste mie scelte / atteggiamenti / comportamenti... ho seguito  queste motivazioni e intenzioni non rette, non mature, non consone con il Vangelo; mi sono lasciato trascinare da questi sentimenti, che rivelano un cuore ancora bisognoso di purificazione; mi sono accorto che sto agendo e faccio scelte ancora legate ad una mentalità poco evangelica…

* Signore, in queste mie scelte / atteggiamenti / comportamenti... mi sono lasciato sviare dallo spirito del male. Me ne rendo conto da queste conseguenze... , e dal dispiacere che provo al ripensarci.

* Ho ceduto alla tentazione perché... (per superficialità, per mancanza di onestà, di coraggio, per debolezza…)

* Per uscire da questa situazione di peccato e risolvere i problemi che essa ha creato tu mi chiami a...

* Ti ringrazio perché Tu segui con amore il mio cammino, pronto a rialzarmi tutte le volte che cado. Il tuo perdono mi dà il gusto di riprendere con gioia e fiducia a camminare sulla strada che Tu mi indichi.

 

RISOLUZIONE PIENA DI SPERANZA PER IL FUTURO

Quest’elemento finale dell’esame quotidiano emerge molto naturalmente dai punti precedenti e ci porta a guardare il prossimo futuro perché sia integrato nella nostra vita.

Può forse sembrare che difficilmente il proposito per il futuro possa essere autentico, dato che l’esperienza insegna quanto poco si possa sperare realisticamente in un sensibile miglioramento. La risposta a questa obiezione deve certo fare appello alla grazia di Dio e non semplicemente alla nostra buona volontà. Tuttavia l’obiezione resta, perché la grazia – ne possiamo essere certi – non ci è mancata neanche in passato, eppure ci ritroviamo ancora con molti difetti. Forse una risposta meno inadeguata possiamo ricavarla ricorrendo a due serie di riflessioni:

- la sincerità del proposito può coesistere con la previsione delle nostre cadute. L’analogia con chi sta apprendendo l’arte di sciare può riuscire di qualche utilità: è certissimo che l’apprendista sciatore è sincero nel proporsi di non cadere e tuttavia è altrettanto certo che altre cadute ci saranno;

- l’utilità spirituale del proposito, lungi dal consistere nel solo obiettivo progresso (cioè di avanzamento) sta anche nel non arrendersi per pigrizia o scoraggiamento: il che ci permette di perseverare nonostante tutto nel cammino e di non cadere vittime di un atteggiamento rinunciatario, che facilmente dalla stasi passa al regresso;

- la perseveranza serena e umile nel proposito ci permette un’accettazione serena della nostra peccaminosità, che sia pur in misura diversa è destinata a rimanere comune retaggio anche in quei santi che hanno raggiunto le più alte mete della vita cristiana;

- è buona cosa non moltiplicare i propositi; anzi è meglio farne uno solo (e perseverarvi a lungo), perché da una parte non ci fa disperdere le energie su troppi fronti, e dall’altra il valido combattimento su un fronte – data la fondamentale unità della coscienza – allerta indirettamente la nostra attenzione anche sugli altri. Inoltre il proposito deve essere bene indovinato. Proprio il fatto che ricadiamo in quella mancanza è indice che il proposito ha colto nel segno: un proposito che subito o in breve tempo tolga di mezzo il difetto molto probabilmente non ha centrato un punto davvero significativo del nostro cammino, ma solo qualcosa di accidentale e di non radicato nella nostra persona;

- soprattutto questi ultimi due punti dell’esame devono essere permeati di molta supplica. Non solo petizione di grazia, ma anche espressioni di fiducia e di abbandono nelle mani del Signore. Una grande speranza dovrebbe essere il clima del nostro cuore, una speranza non fondata sui nostri meriti o sulle nostre capacità per l’avvenire, ma piuttosto fondata molto più pienamente su Dio nostro Padre, di cui condividiamo la vittoria gloriosa in Gesù Cristo attraverso la vita dello Spirito Santo in noi. Più ci fidiamo di Dio e gli permettiamo di entrare nella nostra vita, più sperimentiamo una vera speranza soprannaturale in Dio, un’esperienza che passa attraverso le nostre deboli capacità e va abbastanza al di là di esse. San Paolo nella lettera ai Filippesi esprime bene lo spirito di questa conclusione dell’esame di coscienza: «lascio il passato dietro di me, e con le mani protese verso ciò che mi sta davanti corro verso la meta» (Fil 3,7-14).

Preghiera. Confidando nel Tuo aiuto, ti offro, Signore, il mio impegno a rispondere alle chiamate che mi hai rivolto e ti chiedo di sostenere il mio proposito con la tua grazia.

Ultima modifica il 23 Marzo 2020